Che dire. Cominciando dicendo che è un onore e una responsabilità avere una piccolissima parte di merito (minuscola, eh!) nella nascita di non una, ma due riviste. Se perseverate farete strada: è scritto. Venendo alla domanda: come già sapete, ritengo sia sano valutare lo stato della letteratura solo a distanza di due-tre lustri, visti i meccanismi di hype (o viceversa sottovalutazione) esistenti da sempre e senz’altro acuiti dall’emersione dell’industria culturale, che per esistere deve pur sempre vendere i libri, con tutto ciò che questo comporta a livello comunicativo e di qualità percepita vs qualità effettiva. Ciò detto, penso che lo stato del romanzo (specifico e metto pure il corsivo perché se c’è una cosa di cui mi sento esperto è quella, più che la letteratura in generale) sia ottimo, eccellente, fuor da ogni possibile polemica. Ne ho scritto a suo tempo qua, il pezzo ha già tre anni ma non mi pare obsoleto, visti appunto i tempi della letteratura: negli ultimi tre decenni abbiamo visto uscire libri non solo significativi ma impressionanti (fin troppo facile citare Bolaño o Sebald o il primo Houellebecq, ma anche Mitchell, Cărtărescu, Tokarczuk, Gospodinov, McCarthy (non solo Cormac ma pure Tom!), l’ultimissimo Auster, o ancora Fernández Mallo… La lista è lunga, molto molto molto lunga…) e il fatto che all’inizio i testi di questi autori vengano intercettati solo da una nicchia mi pare normale, e non da oggi. Il romanzo, in questi ultimi decenni, ha esplorato territori nuovi, anzi conquistato territori nuovi, senza limite alcuno. Si può stare tranquilli. Personalmente resto di stucco ogni volte che penso solo di essere esistito, ancorché per un pugno di anni, nella stessa tempolinea di Thomas Bernhard. Non dimentichiamo, poi, che la circolazione all’uscita non ha nulla a che fare con la canonizzazione. Ti hanno letto in venti? Va bene lo stesso, gli altri arriveranno, se l’opera è significativa. Tornando alle riviste: come aveva a dire proprio Bolaño, i capolavori della letteratura sono sequoie o orchidee, ma nessuno ha mai visto una sequoia o un’orchidea crescere fuor da una foresta o da un giardino. Le riviste sono queste foreste e questi giardini, ancor prima di essere un luogo di formazione per nuovi autori (o meglio un dojo, cfr. Rivista Verde), o un porto sicuro – “di ritorno” – per autori vecchi, tipo me.
Per ora no ma magari domani sì. Facciamo un distinguo, visto che Midjourney e ChatGPT, per quanto accomunati nella narrazione giornalistica in quanto “A.I.” (spoiler: non sono veramente A.I., ma diverse applicazioni del machine learning), funzionano in modo molto diverso. La “diffusion” alla base di MJ porta il programma a usare una sorta di “immaginazione” (va da sé diversissima dalla nostra) per completare le immagini in modo molto più libero rispetto a quanto fa CGPT con i testi, essendo questi ultimi vincolati da regole grammaticali e semantiche. Ne deriva il fatto che è relativamente facile “forzare” MJ verso lo strano, l’assurdo, il bizzarro (campi in cui dà il meglio di sé, rispetto alle pedisseque, e francamente orribili “immagini base” che genera se gli chiedi semplicemente un gatto su una poltrona), rispetto a CGPT. La storia della letteratura “fatta dai robot” in realtà è lunga, e la riassume bene Gregorio Magini in questo articolo non nuovo ma nemmeno datato, e aggiungerei: non datato perché ancora siamo ben lontani da macchine che scrivono romanzi (o racconti, o poesie) in modo autonomo.
Non credo, no. La letteratura è una cosa enorme e ha tutti gli strumenti per cooptare in scioltezza le intelligenze artificiali, anche se queste (come è ormai ovvio) occuperanno molti ambiti della scrittura, e magari diventerà pure uno strumento integrabile nell’attività umana di scrittura, come già sta avvenendo con le A.I. “text to image” nel lavoro di molti illustratori. E se poi arriverà il Grande Romanzo Artificiale? Bof, lo leggeremo, perché no?
Semplificando, direi che ormai il termine “romanzo” è diventato un grande, enorme contenitore, capace di includere quasi qualunque tipo di scrittura che non sia puramente (ma chi lo dice, poi, cosa è puro e cosa no? Come dice Gospodinov, il romanzo è meticcio…) saggistica o poetica o critica. Il che non è un male: mi pare anzi un ulteriore segno dell’ottimo stato di salute della letteratura… Massimalismo finanche dalle premesse! Ora, è vero che altri medium, come ad esempio il videogioco, drenano oggi energie creative che un tempo sarebbero andate dirette al romanzo o al racconto, ma dall’altro lato non ci sono mai state così tante persone che scrivono, e di fronte a un contesto di ipercomplessità quale è quello attuale, va a finire che il romanzo è ancora, per dirla con Siti, “l’ammiraglia che la letteratura può schierare, rispetto alla cronaca e alla sociologia, quando si tenta di venire a capo della realtà.”
Mi pare il momento di effettuare uno scarto, quindi dico tutti i fumetti di Jim Woodring, uno che ripartendo da estetiche di un secolo fa ha aperto un fronte concettuale e narrativo del tutto nuovo: Fran, Il congresso degli animali, Weathercraft, editi in Italia da Coconino. Aspetto un romanziere capace di fare quello che ha fatto lui col fumetto. Ah, e Slam Dunk di Takehiko Inoue, il Dickens dei nostri tempi.
Grazie a voi e lunga vita a “Wertheimer” e “Galápagos”!