un racconto di Gennaro Saviano

Qualche settimana prima dell’inizio delle riprese del nuovo film, si vede a Piazza Dante con una vecchia amica di passaggio in città. Lei deve presentare il nuovo romanzo nel pomeriggio in una libreria del Vomero e poi riparte: Carlo si spiace di non poter presenziare alla lettura perché ha già un altro impegno.

L’appuntamento è alle 10 al bar accanto al Convitto, lo ha scelto l’amica perché ha letto che ospita in questi giorni una piccola mostra di un fumettista di cui Carlo non ha mai sentito parlare prima, autore di racconti di fantascienza, e vuole vederla. Lui i fumetti non li legge da anni. Ha provato a stare una giornata al Comicon, ma si è sentito come un pesce fuor d’acqua e se n’è andato dopo poche ore. Comunque ha visto le opere di questo disegnatore, le ha apprezzate e si è segnato il nome: potrebbe tornare utile in futuro. 

Carlo vive con Paola, la compagna, in un appartamento sul Corso Umberto. Lei stamattina si è alzata presto: oggi è sul set di un servizio fotografico che verrà pubblicato tra un mese o due su una importante rivista di moda.

Dopo essersi svegliato e aver fatto colazione, Carlo apre il taccuino e scrive qualche appunto da tenere presente quando inizierà a girare il film. Quando termina di scrivere, esce di casa.

Scende la prima rampa di scale ma poi torna indietro: ha dimenticato l’ombrello. Stamattina piove: la primavera non accenna proprio a partire, quest’anno. E menomale che Napoli è la città del sole, pensa Carlo.

Apre la porta, si avvicina al porta ombrelli, prende il suo, richiude la porta e scende. Nel condominio non c’è un’anima viva. I bambini sono già a scuola, i genitori al lavoro. Saluta con un cenno il portiere che ricambia con cortesia e una volta fuori apre l’ombrello.

La pioggia è fitta e batte sul tessuto sopra la sua testa. Carlo risale Via Duomo e una volta a Spaccanapoli si ferma, pensoso. Medita se continuare per Via San Biagio dei Librai e risalire poi per Piazza San Domenico o continuare un poco per Via Duomo e svoltare in Via Tribunali.

Sono scelte che prende sempre dopo un’accurata riflessione. Pianifica. Non fa mai niente d’istinto, non gli riesce. Non gli viene affatto. Decide di prendere Via Tribunali. Prima, però, fotografa il murale di Jorit dedicato al Santo.

Passeggiando per la via ed evitando le pozzanghere, supera un uomo di quarant’anni sovrappeso: una violenta folata di vento ha piegato le stecche di alluminio del suo ombrello. L’uomo, zuppo di acqua, si lamenta: «E stava pure scritto che era antivento!»

Carlo arriva a Piazza Dante. Alba, con somma sorpresa di lui, lo aspetta già. Che differenza coi tempi dell’università, quando era la più ritardataria del gruppo! «Scusa», dice Carlo dopo i saluti di rito, «forse ho fatto tardi.» Intanto ha smesso di piovere.

Alba sorride: «Ma no, figurati, sono io che sono in anticipo.» Arriva il cameriere e ordinano. Carlo nota il pacco di libri che Alba ha appoggiato sul tavolo del bar e osserva: «Ah, sei passata per Port’Alba.»

L’amica conferma: «Sì, ne ho tanto sentito parlare che ho voluto passarci.» Lancia uno sguardo ai volumi usati, per lo più in buono stato e giudica: «Un posto davvero affascinante.»

Carlo smorza il suo entusiasmo: «Quando ero ragazzo, io, sì. Ora si è un po’ persa.» Le racconta di quando da ragazzo, con poco più di 10.000 lire, riusciva a portarsi a casa così tanti libri da riempire interi scaffali. Ricorda: «Molti dei libri che ho, li ho comprati proprio in quegli anni.» Tra i libri che Alba ha comprato, I quarantanove racconti di Ernest Hemingway.

Torna il cameriere con le ordinazioni: un tè verde per Alba e una cioccolata calda con tanta panna per Carlo.

«È uno dei pochi libri di Hemingway che non ho letto» spiega Alba all’occhiata curiosa di Carlo. Prende una bustina di zucchero, la apre e versa lo zucchero nel tè. Gira il cucchiaino e precisa: «Non sono una sua fan, troppo macho per i miei gusti, ma cerco di leggere qualunque cosa mi capiti a tiro.»

Carlo mette il cucchiaino nella panna che sormonta la cioccolata come una montagna innevata. «Sì, pure io cerco di vedere qualunque cosa.» Carlo indica il libro di Hewmingway e le ricorda: «Tarkovskij ha girato un adattamento de I sicari

Come lavoro finale al Centro, Carlo aveva scelto di omaggiare il regista e di girare la sua versione di un racconto presente nella raccolta. «Non so se te lo ricordi…» dice Carlo gustando la cioccolata. Aveva seguito il corso di regia al Centro dopo aver frequentato il DAMS di Bologna.

«Sì, La luce del mondo. Molto bello.» Carlo abbassa la testa per ringraziarla: «Troppo buona.» Alba beve e dice: «Pensa, in treno ho riletto Dieci piccoli indiani

«Ah, sì?»

Lei prende un biscotto e lo addenta: «Il mio preferito tra i romanzi di Agatha Christie.»

«Un capolavoro. Un grande atto d’accusa del perbenismo borghese britannico.» Carlo prende un tovagliolo e si pulisce il naso sporco di panna.

«Adoro la scena della morte di Emily Brent.»

«Mi ricordo che all’Università scrivesti un racconto ispirato a quella scena.»

Alba gli sorride lieta, con nostalgia. 

Lei prende un altro biscotto e dice: «Sai, ho deciso di riprenderlo e trasformarlo in un romanzo.»

Carlo assaggia di nuovo la panna: «Davvero?»

Alba spiega:

«Sì, ho una specie di contratto capestro e devo consegnare un nuovo libro entro la fine del mese prossimo. Non ho molte idee e quindi ho ripreso quel racconto. Tanto è inedito, nessuno l’ha mai letto a parte te e gli amici del DAMS.»

«Capisco.»

L’amica beve un sorso del tè e dice: «E poi sarebbe un bel cambiamento, rispetto a quello che scrivo di solito.»

Carlo è arrivato alla cioccolata. Dice ciarliero: «Mi sono sempre chiesto come si fa a ingaggiare un killer.»

«Ah, ma ora è facile, sai?»

Lui è sbigottito: «Sul serio?»

Alba annuisce: «Basta che ti fai un giro su Tor e ne trovi quanti ne vuoi.»

Carlo resta con il cucchiaino affondato a metà nella cioccolata. Alba continua: «Ho fatto qualche ricerca. Ne ho trovato uno che non è nemmeno un professionista, ma per qualche soldo si presterebbe, e gli ho detto che sto scrivendo un libro e mi ha dato un sacco di informazioni.»

Lui infila il cucchiaino in bocca e commenta: «Assurdo.»

Alba non dice nulla. Cambia discorso e chiede con interesse: «E tu, invece, a cosa stai lavorando?»

Carlo ribatte con sollecitudine: «Un adattamento de I pazzi di Roberto Bracco.»

Lui le spiega a grandi linee la trama, poi passa a parlare dell’autore, ormai dimenticato sia in Italia sia a Napoli, nonostante la targa del Comune nel luogo in cui nacque, Via San Gregorio Armeno. Carlo ricorda la rivalità tra Bracco e Pirandello: rivalità non solo letteraria ma anche politica, giacché Bracco fu un intransigente antifascista. 

Alba ascolta interessata. Infine si salutano. Lui si dispiace di non poter seguire la presentazione dell’amica, lei però gli dice che di sicuro gli capiterà in futuro di prendere parte a un suo reading. Carlo passa la mattinata in giro per la città a fare commissioni, poi ritorna a casa. Apre la porta, posa l’ombrello, appende il giubbotto, poggia sulla scrivania in studio la copia di Dieci piccoli indiani che ha comprato in libreria dopo l’incontro con Alba ed entra in bagno. Paola è sotto la doccia e Carlo la osserva. Quando esce, le passa accappatoio e asciugamani. 

«Come sta Alba?» chiede Paola mentre si asciuga. Carlo risponde laconico: «Bene.»

Carlo ammira il corpo sodo, perfetto della compagna: ha iniziato come modella, poi ha cominciato a recitare. Ha dovuto faticare molto per superare i pregiudizi di pubblico e critica, ma ci è riuscita. Ora è un’apprezzata attrice non soltanto di cinema, ma anche di teatro: è stata la molta lodata protagonista di Madre Coraggio. Ha sfiorato il Premio UBU. Paola indossa mutandine e reggiseno. Prima di asciugare i capelli avverte Carlo:

«Non dimenticare che stasera ci vediamo con Alberto e Monica.»

Claudio ribatte, assorto e pensieroso: «No no, chi se lo dimentica.»

Paola accende l’asciugacapelli. 

L’incontro con Alberto e Monica è alle 20 circa. Hanno prenotato un tavolo in un localino dalle parti di Piazza dei Martiri. Carlo ci mette un po’ a trovare parcheggio: è venerdì sera. Durante l’ennesimo giro a vuoto, sbraita:

«Dovevamo prendere un taxi, te l’avevo detto!»

Paola lo supplica: «Dai, non fare casino.» Queste tirate, lei, non le ha mai sopportate. Dopo qualche altro tentativo, trovano posto in un garage aperto tutta la notte. Fa freddo ma almeno non piove.

Incontrano Alberto e Monica all’ingresso del locale. Una volta entrati, Paola catalizza subito l’attenzione di tutti. Molti le chiedono di scattarsi una foto insieme a lei. Anche i padroni del locale, due giovani imprenditori che tengono tutto e tutti sott’occhio, chiedono di farsi una foto con lei.

La stampano subito e la appongono al muro delle celebrità. Carlo osserva la foto che è accanto a quella con Paola. Non riconosce il ragazzo di colore coi capelli biondi.

«Chi è?» chiede ad Alberto.

Alberto replica: «Il centravanti del Napoli. Osimhen.»

Carlo si limita a dire: «Ah.» Non ci sarebbe mai arrivato: non ama lo sport, men che meno il calcio.

I quattro poi prendono posto e ordinano. Alberto comunica che tra qualche giorno partirà.

«Vado nella città più lontana del mondo» annuncia con enfasi. Paola spalanca stupita gli occhi nocciola e chiede:

«E quale sarebbe di preciso, la città più lontana del mondo?»

Alberto alza il mojito, beve e spiega: «Seul. La società mi manda a fare da insegnante a quelli  della sede di lì.» Non è il primo viaggio di lavoro all’estero di Alberto. È stato in effetti quasi ovunque: dalla Russia alla Spagna all’India al Giappone. Gli mancano i paesi che più desidera vedere, quelli scandinavi.

Paola commenta eccitata: «Fantastico!» Poi si rivolge a Monica: «Devi essere molto fiera di lui.» Entrambe hanno ordinato la stessa cosa, un Red Sunset.

Monica si volta a guardare il compagno con amore: «Lo sono.» Ha perso del tutto l’accento spagnolo. Del resto, l’unico aggancio che Monica ha col paese dove è nata, l’Argentina, è il cognome: Díaz. Per il resto, come dice sempre: i miei ricordi, i miei colori, i miei odori, la mia vita è tutta napoletana.

Carlo ricorda con legittimo orgoglio: «Ci sono stato a Seul, ho presentato un mio film.»

Monica lo guarda: «Ah, sì?»

Carlo ama gli occhi color viola di Monica. Li ha sempre ritenuti espressivi.

«Sì, il mio primo film, a essere precisi.»

Alberto mormora: «Ah, sì, vero: mi ricordo.» Carlo continua a raccontare:

«L’Orientale mi aveva coinvolto in questo progetto di scambio culturale e quindi ho presentato lì il film.»

Monica è impressionata. «Però, complimenti, Alberto.» Lui ringrazia e poi dice all’amico: «Dovrei avere ancora dei contatti lì, qualche indirizzo, sai che segno sempre tutto, fammi sapere se ti possono servire.»

Alberto dice con falsa disponibilità a seguire il consiglio: «Ma certo, grazie.»

Carlo continua: «Poi, pensate, dietro al nuovo film ci sono anche dei finanziatori coreani.»

Stavolta è il turno di Alberto di mostrarsi attonito: «Davvero?»

Carlo ride: «Sì, gente che ha coinvolto il produttore, fanno girare i soldi, quelli.» Non dà ulteriori dettagli e nessuno glieli chiede.

Paola accavalla le gambe: «A proposito, giusto ieri io e Carlo abbiamo visto Mademoiselle

Monica la fissa: «Cos’è?» Non ha mai avuto timore di mostrare la propria ignoranza.

Paola dice: «Un film dello stesso regista di Oldboy

«Forse l’ho sentito nominare, ma non l’ho visto» ammette Alberto. La lunghissima amicizia con Carlo gli ha permesso di conoscere in profondità il cinema: quante volte Carlo gli ha parlato di oscuri lungometraggi prodotti in paesi e anni lontani, di cui Alberto nemmeno avrebbe immaginato l’esistenza. Nonostante ciò, qualche lacuna ogni tanto c’è. In più, i primi lavoretti cinematografici di Carlo avevano come protagonista Alberto, che in tutta sincerità è tanto bello come uomo quanto legnoso come attore.

Paola racconta per sommi capi la trama, Carlo resta taciturno per tutto il tempo e assapora la  sua birra. Monica, una volta che l’amica ha concluso, promette: «Compro il DVD su Amazon appena torno a casa.»

 «Così vedrete qualcosa di serio, mica una squallida partita di pallone» interviene Carlo con più asprezza di quanto vorrebbe.

«Ma che c’entra, scusa? Una partita può essere bella come un film» lo rimprovera Paola, che rispetto al compagno è appassionata tifosa del Napoli. In realtà, le piace proprio il calcio e si diverte a vedere anche le altre partite della Serie A e quelle dei campionati esteri. Le piace anche il calcio femminile.

Alberto smorza la tensione: «Ognuno ha le sue passioni, Paola, il nostro Carlo non è tipo da sport, lo sai!»

La serata finisce: Carlo e Paola riaccompagnano gli amici alla loro casa, un elegante villino sulla collina del Vomero. Una volta rimasti soli, Carlo si scusa con Paola per il commento infelice che ha fatto poco prima. Lei lo rimprovera: «Non è con me che devi scusarti, ma con Alberto. Lo tratti sempre male.»

«Ma era una battuta, lui l’ha capito e non ne farà un dramma» minimizza Carlo che comunque promette: «Domani mi scuserò con lui.»

Carlo non va subito a dormire. Dice alla compagna di voler rivedere un paio di pagine della sceneggiatura. Lei va a dormire, raccomandandosi che non faccia troppo tardi. Carlo promette di non metterci troppo. In effetti, lavora poco, e si perde in un giro per Internet.

La mattina dopo è ventosa, Carlo e Alberto si vedono per una sessione di allenamento in palestra. Trascorrono poco più di un’ora a fare gli esercizi.

Carlo approfitta di un momento di riposo per scusarsi con Alberto. 

È mattina presto e loro sono gli unici.

Alberto fa panca e Carlo gli chiede: «E quanto starai in Corea?»

La faccia dell’amico si contrae per la fatica di alzare la sbarra: «Un mese, più o meno.»

«Allora avrai modo di conoscere qualche persona.»

«Sì, può darsi.»

Carlo sta facendo un esercizio alle gambe, ma si ferma e fissa l’amico allusivo: «E magari portarsi a letto qualche bella fica locale, no?»

Alberto si ferma, si alza e guarda l’amico perplesso: «Scusa?»

Ma Carlo incalza con lo stesso tono: «Andiamo, lo sai meglio di me che i viaggi di lavoro all’estero sono un’ottima scusa per farsi qualche scopata…»

«Eh? Ma di cosa stiamo parlando, Carlo?»

L’amico ride: «Andiamo, Alberto, siamo tra adulti. Una scappatella non ha mai ammazzato nessuno.»

Alberto lo guarda interdetto. Carlo continua:

«Oltretutto le coreane ci stanno, sai? Quando ci sono stato, ci mancava poco che me la sbattessero in faccia anche a colazione.»

Alberto replica cercando di assumere un tono deciso: «Non sono il tipo che fa queste robe, Carlo. Amo mia moglie.»

Carlo fa una smorfia che Alberto non riesce a decifrare: «Ma certo, questo lo so.»

I due continuano senza scambiarsi più una parola. Finiscono e si buttano in doccia.

L’acqua è bollente e li ristora dalla fatica dell’allenamento. Si asciugano e indossano biancheria pulita. Carlo approfitta del fatto che nel bagno sono soli per dire a bruciapelo all’amico:

«Non sarai il tipo che fa queste robe, ma con Paola ci hai scopato.»

Alberto lo guarda sbigottito. Non parla per un bel po’, quindi pronuncia a fatica:

«Non è vero.»

Carlo replica con una calma che mette i brividi: «È inutile che provi a negare, Alberto.» Infila i sandali in una busta che poi infila nel suo borsone. «Lo so che siete andati a letto insieme l’ultima volta che sono stato a Roma a discutere del film.»

Alberto resta in piedi. È in mutande, ha tra le mani l’accappatoio. Un’immagine quasi divertente. 

«E va bene, sì, l’abbiamo fatto» rantola Alberto.

Carlo sorride: «Ecco, vedi, sempre meglio dire la verità, no?» Chiude il borsone che aveva lasciato aperto.

Alberto si affretta a dire: «Però è successo soltanto una volta. È stato un errore e ci siamo pentiti entrambi.»

Carlo si alza con uno scatto, riprende i jeans dall’attaccapanni e guarda con sarcasmo l’amico: «Risparmiami questo cliché, ti prego.» Sorride. Quel sorriso che faceva quando da ragazzi lui e Alberto cazzeggiavano. Un sorriso che però sa di amaro.  

Alberto apre le braccia e l’accappatoio cade sul pavimento umido. Con un gesto goffo si abbassa, lo riprende e lo butta sulla panca dov’era seduto. Respira e torna a essere sicuro: 

«Ma è vero, Carlo, quella scopata non ha significato nulla per noi.»

Carlo prende la camicia e l’abbottona. Nel farlo, scruta Alberto. Lui si riveste in tutta fretta per non lasciarsi vincere dal disagio di essere ancora in mutande, con Carlo che non smette di guardarlo.

Carlo prende la cravatta, la annoda. Fissa l’amico e annuncia:

«E va bene, ti credo.»

Alberto resta in silenzio. Carlo si apre in un sorriso: «Non solo ti credo, ma ti perdono anche.»

Alberto chiede circospetto: «Davvero?» Non può fare a meno di avere dubbi.

Carlo gli va di fronte. Occhi negli occhi, Carlo lo rassicura con forza: «Ma certo, non sarà questo a rovinare la nostra lunga amicizia.»

Alberto non è convinto da questo atteggiamento conciliante di Carlo. Bisbiglia incerto: «Ok.»

Carlo inizia a ridere, come se stesse assistendo a una scena comica: «Ma che c’è? Hai paura di me?»

Alberto non può non dire quello che sente: «Stai reagendo fin troppo bene a questa cosa, Carlo.»

Carlo si allontana da lui, con fare offeso: «Ma chi pensi che sia io, un selvaggio? Che poi se provassi a picchiarti finirei per prenderle. Mi toccherebbe pagare qualcuno per farti dare una lezione.» Non aspetta la risposta dell’amico. Riprende il borsone, se lo mette a tracolla, si gira, torna a guardare l’amico e conclude sempre offeso:

«Sono una persona adulta e civile, Alberto, mi conosci da quando eravamo poco più che bambini.»

Alberto non risponde ancora: anche lui ha preso il borsone. Ci ha infilato la roba alla bell’e meglio «Allora?» lo incalza Carlo.

Alberto scuote la testa: «No, no, non penso questo.» È molto più disteso. Aggiunge poi sincero: «Mi spiace sia successo.»

Carlo replica: «Figurati, lo so.» Carlo sa bene che Alberto non finge. Alberto vorrebbe quasi abbracciarlo, ora, per suggellare l’amicizia ritrovata. Ma si trattiene, sarebbe inappropriato.

Escono dai bagni. Una volta fuori dalla palestra, mentre aspettano un taxi, Carlo dice all’amico: «Dai, non ci pensare più, Alberto. Sono cose che possono succedere.» Sono dalle parti della Mostra d’Oltremare. La via è piena di gente e traffico.

Carlo ridacchia complice: «E poi, non sono cieco: lo so che Paola è un bel pezzo di fica  e qualsiasi maschio vorrebbe scoparsela.» Alberto non sa davvero che cosa dire. Arriva il taxi, Carlo sale e non guarda più l’amico. Il taxi riparte. Una volta a casa, Carlo si immerge nella lettura di Dieci piccoli indiani. È distratto solo da un paio di messaggi e dalla notifica delle mail in arrivo. Butta un occhio per vedere chi scrive. A un messaggio soltanto, molto importante, risponde subito.

Alberto parte qualche giorno dopo: prende l’aereo a Napoli. Fa scalo a Monaco. L’immenso aeroporto della città bavarese lo lascia sempre a bocca aperta. Prima o poi tornerà in Germania con Monica.

Dopo molte ore di viaggio, che passa per lo più studiando documenti di lavoro, arriva a Seul. Fa parecchio freddo nella capitale della Corea del Sud, per fortuna ha portato abiti adeguati. La compagnia gli ha riservato una suite con vista sul fiume Han: il corso d’acqua percorso dai battelli su cui si specchiano le luci dei palazzi è la prima cosa che vede quando entra nella stanza.

Quando si dice una vista mozzafiato – è colto all’improvviso da un attacco di tosse. Spera che non sia lo sbalzo di temperatura. Non è proprio il caso di ammalarsi. 

Va in bagno, poi si siede sul letto. Accende la televisione. Capita sul telegiornale. Il conduttore sta parlando di un caso di cronaca: dietro di lui appare la foto di un ragazzo sui 30 anni. Alberto pensa di intuire quel che dice il giornalista: il ragazzo in foto deve essere scappato e la polizia lo sta cercando.

Spegne la televisione e si mette a dormire, stanco per il lungo viaggio.

Nei giorni successivi, nel suo tempo libero, visita Seul assieme all’interprete che la società gli ha assegnato: Alberto conosce inglese e francese, ma il coreano è al di fuori della portata di tutti. L’interprete è una bellissima ragazza con lunghi capelli neri che sfumano nel blu alla base. È giovane, poco più che trentenne, ma molto solerte, forse perché è al primo lavoro, come gli hanno detto quando gliel’hanno presentata. Lo tallona dappertutto come un’ombra. Manca poco che entri in bagno con lui quando Alberto deve pisciare o cacare. Alberto scrive a Monica: E menomale che la sorveglianza asfissiante era in Corea del Nord! Monica risponde con le emoji che ridono, nasconde la tristezza causata dalla mancanza del compagno.

Quello che non le scrive è che non gli dispiace affatto di essere sorvegliato da una così. E che lui, a sua volta, non può fare a meno di osservarla. La desidera.

A Monica manda foto di ogni angolo della città. I grandi palazzi, soprattutto il Gyeongbokgung, la incantano. Si augura di tornare a Seul con lui, e Alberto risponde: Certo.

Soprattutto, ogni giorno, prima di iniziare le lezioni, le manda la foto di un piccolo e grazioso giardino situato di fronte al palazzo che ospita la sede coreana della società. È il posto che più preferisce a Seul.

Le sessioni vanno bene: i dipendenti coreani sono vispi, curiosi e pronti agli input di Alberto. Il manager ritiene che la società abbia fatto bene ad aprire una sede qui.

Insomma, il viaggio in Corea si sta rivelando una bellissima esperienza.

Eppure, Alberto ha una specie di pensiero fisso. L’inquietudine che ha provato durante l’ultimo dialogo con Carlo non è scomparsa. La distanza la rende più viva che mai. Carlo ha avuto una reazione davvero insolita alla vicenda che ha coinvolto lui e Paola. Un vero errore, gli ha detto. Ed è così: è stato uno sbaglio. Ma pure una grande scopata. Paola non si fa problemi e paranoie sotto le lenzuola. Mica come M… Alberto scaccia questo pensiero come un ospite sgradito e torna a riflettere su Carlo. No, come fa a far finta che non sia successo nulla. Ha perfino insistito per accompagnarlo all’aeroporto: ha desistito solo perché Paola gli ha fatto presente che magari aveva voglia di stare da solo con Monica, prima di separarsi da lei per un mese. Troppo troppo strano. Sul serio. Prova a non pensarci, ma è impossibile.

In macchina per le vie di Seul, Alberto si volta a guardare l’interprete che gli siede accanto: nell’abitacolo fa un caldo pazzesco e entrambi hanno tolto i soprabiti. La ragazza oggi è vestita in modo molto esplicito: indossa scarpe col tacco, calze a rete, minigonna e una camicia. È senza reggiseno: Alberto, attraverso lo spazio tra un bottone e l’altro, può vedere bene il seno di lei, la punta carnosa del capezzolo destro. Lei si accorge della sua occhiata, abbassa la testa, poi torna a rivolgersi a lui con uno sguardo complice, sorride, per nulla offesa, anzi lusingata. È arrivato il momento.

Alberto le propone di andare a bere una cosa, stasera, dopo la lezione. La ragazza accetta.

Durante la lezione è un po’ distratto all’idea.

Non vede l’ora. Al suo carnet manca una coreana: è andato a letto con giapponesi, cinesi, thailandesi, perfino vietnamite e indonesiane. Ma una coreana gli manca. Tanto, si rincuora, Monica non verrà mai a scoprirlo. Chissà se Carlo lo pensa davvero, che va a letto con altre donne quando è in trasferta. Poco importa, in realtà. C’era solo una cosa che non avrebbe dovuto sapere. Ma come ha fatto a scoprirlo? Improbabile che Paola abbia confessato.

La sera, come da accordi, i due escono e vanno a farsi un giro per la città. Prendono la metro e scendono a Gangnam. Entrano nel primo bar che trovano.

È un locale piccolo, dall’atmosfera raccolta. Dallo stereo proviene musica locale suonata a bassissimo volume. Alberto e la ragazza si siedono, arriva subito un cameriere. Lui ordina la birra locale che finora non ha mai assaggiato. Soltanto una e poi torna a dormire, dice alla ragazza, anche se entrambi sanno che non andrà così. Lei invece opta per un caffè. Che strano, pensa Alberto.

Nel frattempo entra un ragazzo, che va a sedersi poco lontano da loro.

Il cameriere torna con le ordinazioni. L’altro cliente apre lo zaino, prende un libro e si mette a leggere. È una raccolta di racconti di William Somerset Maugham. In lingua originale, non in traduzione coreana.

Alberto e la sua interprete parlano qualche minuto. La ragazza risponde alle ovvie domande di lui. Non si sbottona più di tanto sulla sua vita privata, ma questo ad Alberto non importa: è chiaro che ci sta. È come se entrambi avessero fretta di passare al dopo. Alberto si offre di pagarle il caffè, e lei accetta. Poteva costargli più cara una scopata, pensa. Escono. Alberto cinge la ragazza all’altezza della vita, e fa per toccarle il sedere. È eccitatissimo. Lei lo prende per mano, accelera il passo e i due si infilano in un buio e lercio vicolo accanto al locale, pieno di rifiuti e con brutti odori nell’aria. Non avrebbe mai pensato che potesse esistere un vicolo simile nel distretto più ricco della città.

Si era immaginato una notte di sesso in albergo, ma a quel punto gli è chiaro che i giochi si concluderanno prima. 

Alberto bacia la ragazza. La tasta ovunque, le sbottona il cappotto e la camicia rivelando due piccoli seni dalla bellissima forma: i capezzoli sono rosa e grandi e duri. Lei sussurra, lasciva: «Do you want me to suck your cock? I’m very good at it.»

Alberto respira affannato: «Yes.»

La ragazza abbassa la zip dei pantaloni di Alberto: mette la mano sinistra nelle mutandine di lui e caccia il pene eretto. Allo stesso tempo, però, approfitta della distrazione di Alberto che le palpeggia le tette e si abbassa a succhiarle. Prende dalla tasca destra del cappotto una siringa, e con un gesto svelto del pollice si disfa del cappuccio.

L’ago scintilla alla luce del lampione, ma Alberto è troppo occupato per vedere il riverbero. 

Con un movimento veloce e che denota la sua esperienza la ragazza mette la punta della siringa sulla giugulare di Alberto e preme lo stantuffo. Il cianuro di potassio si mette subito in circolo. Lui si blocca, scosso da spasmi, e si affloscia a terra come un castello di carte, morto sul colpo. La ragazza si ricompone, controlla che nessuno l’abbia vista e scappa.

Quando ormai è lontana dalla scena del delitto, manda un messaggio: «The chicken has been roasted.» La risposta arriva immediata:

«Ok, thanks.»

La salma di Alberto viene accolta in Italia da una Monica distrutta e da Carlo e Paola. Davanti alla tomba di Alberto Monica si sfoga e tra le lacrime dice: «Spero che prendano il bastardo che l’ha ucciso.» Sia Carlo sia Paola l’abbracciano.

Passano le settimane e le indagini sull’omicidio di Alberto sono a un punto morto. Prima dell’estate vengono dichiarate terminate. La notizia devasta Monica ancora di più.

Il nuovo film di Carlo, I pazzi, esce e ha un buon successo di pubblico, ma la critica sembra meno entusiasta della regia stavolta. La prova di Paola riceve ottimi giudizi, invece.

Una sera di inizio ottobre, un ottobre che sembra un lungo prosieguo di luglio, i due partecipano alla presentazione del nuovo libro di Alba a un premio letterario, organizzato da una fondazione. È proprio Paola a leggere alcuni brani del libro, è stata un’idea di Carlo. Lei lo fa con partecipazione e il pubblico sembra molto felice.

Poi, c’è un rinfresco sulla terrazza del Palazzo sede della fondazione. La serata è stupenda. Si vede tutto il golfo della città, illuminato dalla luna e dalle luci delle case, e qualche nave lontana che percorre il mare placido.

Paola è al tavolo del buffet, ordina per sé e per Carlo dello champagne. Lui è dietro di lei, sta parlando con Alba.

Mentre il cameriere procede a preparare le coppe, Paola ascolta quello che si dicono.

Alba racconta: «Hai visto poi che ho tolto quella cosa di lei che assolda il killer via Internet? L’editor me l’ha bocciata.»

Lui dice: «E perché? Mi avevi detto che avevi fatto delle ricerche anche tu, che sembrava facile tutto sommato, no?»

Alba mangia uno stuzzichino: «Sì, ma ci vogliono un sacco di soldi. Lei è una poveraccia.»

Carlo dice: «Ah, vero, hai ragione.» Si ferma e poi dice: «Che poi, mi aveva incuriosito come espediente narrativo, e avevo fatto qualche ricerca anch’io.»

Paola aguzza le orecchie. Alba chiede divertita a Carlo: «Ah sì? Volevi far fuori qualche critico cinematografico?»

Carlo ride: «Sì, ci ho pensato! O meglio, ho pensato che può sempre essere utile un servizio del genere!»

Alba ride, a sua volta: «Non ti ci vedo proprio a spendere dei soldi per un sicario.»

Carlo ribatte, stavolta un po’ più grave: «Tu sei una scrittrice e io un regista, Alba! Siamo entrambi bravi a far accadere le cose, a scegliere dove, come e quando

Paola fa per allontanarsi, scossa da un brivido che fatica ad accettare.

«E a mettere noi la parola fine