un racconto di Elisabetta Tocchetti


Il mio nome è Amanda e significa colei che deve essere amata. Ma la più amata è sempre stata Lara.

Lara è mia sorella. Siamo nate lo stesso giorno, a pochi minuti di distanza, lei prima di me. È sempre stata la prima in tutto, a scuola, da bambine, poi al liceo, all’Accademia di danza, sempre.

Dicono che siamo identiche, che sarebbe impossibile distinguerci l’una dall’altra, se non fosse per un particolare, una piccola macchia viola a forma di mezzaluna sul dorso della mano sinistra, che Lara ha fin dalla nascita. Poiché io non ne ho traccia, lei ritiene sia un segno divino, destinato a chi farà grandi cose. Io non lo merito. A quali grandi cose potrei mai essere destinata, io?

Mi re mi re mi si re do la

Nove note, l’attacco della Bagatella n. 25 di Beethoven, quella che tutti conoscono come “Per Elisa”. Sono nella mia testa, le sento, si ripetono, finiscono e ricominciano, ossessive, insistenti. È una musica insopportabile, martellante, che rimbalza e si ripercuote infinite volte, si arrotola nel cervello, sale di tono, sfilaccia ogni terminazione nervosa. Una musica devastante, che stordisce, corrompe, contamina, ammorba. È un tormento che mi sgretola, mi consuma, un fuoco che divora. Questa musica è tossica, devo fermarla. Non può continuare per sempre.

Mi re mi re mi si re do la

Mi re mi re mi si re do la

Madame ha assegnato i ruoli dello spettacolo di fine anno. Mettiamo in scena “Il lago dei cigni” e Lara è stata scelta per impersonare la principessa Odette. Ce l’aspettavamo, era ovvio. Anche se quella parte la sognavamo tutte.

«Davvero, Amanda, davvero speravi di fare il Cigno Bianco? Che assurdità.»

La odio, odio Lara. Lo sento, quest’odio, è molesto, invadente, mi striscia addosso come un serpente, viscido e freddo. Adesso, negli spogliatoi dopo la lezione, Lara è già sotto la doccia e io, seduta sulla panca di legno, di fronte agli armadietti, fisso le punte che lei si è appena sfilata insieme al tutù. Sono lì, abbandonate sul pavimento, vicine alle mie. Le vorrei scostare con un calcio, ma le tocco appena con la punta del piede e comincio a sentire la musica di un pianoforte.

Mi re mi re mi si re do la

Da dove arriva? In tutta la scuola di ballo non siamo rimaste che noi. Le altre ragazze continuano a parlare tra loro senza dar segno di aver sentito nulla. Eppure io le sento, quelle note, che si rincorrono, sempre le stesse, la sequenza finisce e ricomincia, rimbalza nella mia testa come quando, da bambina, tentavo di riprodurla sul pianoforte della nonna. La provavo e la ripetevo da sola, dopo aver assistito in silenzio alle lezioni di musica di Lara. Lei mi prendeva in giro, diceva: “Amanda, l’attacco di Per Elisa è il più facile in assoluto, tutti sanno suonarlo, solo tu riesci a sbagliare nove semplici note. Non imparerai mai.”

Raccolgo le scarpette di Lara, sono nuove e ancora un po’ rigide, le ha usate oggi per la prima volta. Guardo le mie, sfondate e sporche, da buttare, e vorrei scambiarle con queste. Che hanno il puntale cucito con punti perfetti, i nastri fissati alla distanza giusta, la suola tagliata al centro per esaltare l’arco plantare. Io non ho mai imparato a prepararle così. Abbiamo lo stesso numero, ne provo una.

Il getto caldo di una doccia sulla mia faccia, i capelli bagnati, nuvole di vapore mi avvolgono insieme al profumo di bagnoschiuma al cocco, il preferito di Lara. Mi alzo in piedi e non sono più nello spogliatoio, intorno a me solo piastrelle grigie e la tenda di plastica che cerca di aderire alle mie gambe come un sudario. Abbasso lo sguardo. La scarpetta di Lara è completamente rovinata dall’acqua. Sfilo il piede e

Silenzio, il pianoforte tace, l’acqua ha smesso di scrosciare, il profumo di bagnoschiuma è sparito. Sono davanti agli armadietti, asciutta e vestita. La scarpetta di Lara è di nuovo lì dove lei l’aveva lasciata, accanto alle mie. Intatta.



Sono sola a casa. Lara è uscita con il suo nuovo fidanzato, quel ballerino del nostro corso che mastica sempre caramelle alla menta e liquerizia e che piace a tutte, anche a me. Madame lo ha scelto per il ruolo del principe Siegfried. Si chiama Diego. Adoro il suo nome, adoro guardarlo durante le prove, mi incantano i suoi muscoli potenti, la forza nei giri difficili, la naturalezza con cui solleva Lara nei salti e nelle prese. Vorrei ballare un passo a due con lui. Ma non sono abbastanza brava e lui non ha alcun interesse per me.

Non ho cenato, mi sono appisolata sul divano guardando un film e mi sono svegliata di soprassalto perché il volume del televisore si è alzato di colpo. È tardi e dal salotto, immerso in un’oscurità azzurrognola, mi trascino svogliata nella camera che divido con Lara. L’anta a specchio dell’armadio è spalancata, sul suo letto ci sono ancora i vestiti che si è provata prima di uscire. Passando, urto la pila delle magliette scartate, ne cade una sui miei piedi e la musica del pianoforte ritorna improvvisa.

Mi re mi re mi si re do la

Raccolgo la maglietta caduta, è morbida e profuma di bucato. Ne ho una uguale di un altro colore, ma questa farebbe risaltare meglio i miei occhi. Davanti allo specchio, la indosso.

Il cruscotto di un’auto sconosciuta, nell’aria un profumo di menta e liquerizia. Oltre i finestrini chiusi, solo un parcheggio vuoto illuminato da radi lampioni. Accanto a me il profilo di Diego che emerge dalla penombra, si volta, mi fissa. Ho la sua mano sulla nuca, il suo viso è sempre più vicino. Stordita dalla musica, sento la sua bocca sulla mia – per quanto tempo l’ho attesa, sognata, desiderata? – le sue mani dappertutto, calde, morbide, brividi ovunque, vertigini in cui perdersi e cadere. Sul dorso della mia mano c’è la mezzaluna viola. Sollevo le braccia, lascio che Diego mi sfili la maglietta e

La musica è sparita, sono di nuovo nella mia stanza. La maglietta è sul pavimento, a un passo da me. Non oso toccarla.



È il giorno delle prove in costume, come sempre sono in ritardo. Madame mi ha scelta per il passo a quattro dei cignetti, ma non ci metterà molto a sostituirmi se le faccio perdere la pazienza. Lara è già uscita, non mi ha aspettata.

In bagno, come sempre, le tracce del suo passaggio: capelli, qualche fermaglio, dischetti di cotone usati. Odio il suo disordine, mi fa schifo. Con un movimento rabbioso della mano libero il lavandino, lascio cadere ogni cosa a terra, una retina per chignon si impiglia nelle mie dita e la musica ritorna.

Mi re mi re mi si re do la

Non mi stupisce, forse la stavo aspettando. Guardo lo specchio, con la musica che pulsa nelle tempie. È qualcosa che va oltre la mia volontà. Vorrei ignorarla, ho fretta e non posso perdere tempo, devo arrivare in teatro prima che Madame assegni la mia parte ad un’altra. Arrotolo i capelli in un nodo sbilenco, che Madame non approverebbe, e l’avvolgo nella retina di Lara.

Il teatro. Le ragazze con i tutù da cigno sono allineate accanto alla sbarra per il riscaldamento. Io sono lì. Sento nei piedi la vibrazione ritmica del bastone di Madame sul legno del palco, le sue parole scandite dai movimenti rapidi delle mani, l’odore della pece appena sfregata sulle suole delle scarpette. La prova in costume è già cominciata. Madame mi sta guardando, devo muovermi. Alzo la mano sinistra – la mezzaluna viola – l’appoggio sulla sbarra, ne percepisco la consistenza liscia e solida. La stringo per trovare l’equilibrio e prepararmi al cambré, inarco la schiena all’indietro e mantengo la posizione. Madame sorride e passa oltre. Approva, l’esecuzione è perfetta. Mentre mi risollevo, la retina che trattiene i capelli si allenta, cade e

Il teatro è svanito, riappare la stanza da bagno, la retina sul pavimento insieme alle altre cianfrusaglie, i miei occhi nello specchio. Occhi che hanno appena guardato il fondo di un abisso.



«Allora è qui che sparisci sempre», dice Lara.

Siamo sul ballatoio più alto del palcoscenico, sotto la graticcia. Trenta metri sotto di noi, i macchinisti e i tecnici di scena sono figure minuscole in tuta da lavoro che si muovono fra le scenografie da allestire. Non siamo autorizzate a stare qui, è un posto riservato agli addetti ai lavori, ma a me piace guardare il palco da questa insolita prospettiva e, di nascosto, ci vado spesso. È il mio posto preferito, il mio posto speciale. Volevo che fosse solo mio, non mi va di condividerlo con nessuno, ma oggi Lara mi ha seguita dopo le prove.

«Lo sai che, se qualcuno racconta a Madame di averti vista qui sopra, puoi dire addio allo spettacolo?»

«Se glielo racconti, devi dirle che eri qui anche tu. Sicura di volerlo fare?»

Lara ha la borsa a tracolla e tiene in mano la custodia di plastica con il tutù del Cigno Bianco, pronto per essere riportato nel laboratorio di sartoria dopo la prova. Dalla cerniera semiaperta scorgo il corpino di piume bianche e la coroncina che scintilla appesa alla gruccia. È tutto pronto per lo spettacolo di domani. Anche Lara è pronta. Lara la predestinata, Lara l’etoile, Lara l’immortale. Lara e il suo futuro di successi, trionfi e gloria.

E io?

Per me c’è lo sfondo, sono un anonimo cigno in mezzo alla fila, quello che il pubblico non nota mai. Non farò più il passo a quattro dei cignetti. Ho dato la tua parte a Francesca, ha detto Madame, non sei affidabile Amanda, non lo sei mai stata.

Non sono affidabile, non sono brava, non sono niente. Ci guardiamo. Così simili, i nostri occhi, così uguali. Così distanti. «Lo so che non farai la spia, non rischierai il balletto per una cosa così stupida», le dico.

«La stupida sei tu» dice lei. «Potevi farcela, questa volta. Eri stata scelta, e hai rovinato tutto.»

Sorride. Quel sorriso è uno squarcio di tenebra, attraverso il quale scorgo il nero della sua anima. E della mia.

«Non m’importa del passo a quattro» dico.

«Certo che t’importa.»

Quanto sarebbe facile spingerla oltre la balaustra, guardarla precipitare e sfracellarsi sulle assi del palcoscenico. Non avrebbe scampo. Provo a immaginare le facce dei tecnici, lo sgomento, l’orrore. Un brivido gelato mi investe, lo ignoro.

Non guardo Lara andare via, le volto le spalle e rimango sola sul ballatoio, a osservare il vuoto sotto di me.



La sera dello spettacolo, il teatro pieno. Sono tutti qui per vedere Lara danzare, nell’ultima rappresentazione prima del diploma. Già sanno che ha firmato il suo primo contratto da ballerina professionista e sta per entrare nella Compagnia.

Il balletto, inutile dirlo, sta andando benissimo, anche se la sarta ha dovuto cercare una coroncina nuova per il Cigno Bianco perché quella originale non si trovava più. Per fortuna, nessuno si è accorto del mio chignon, quasi crollato durante l’ultima uscita di scena dei cigni. Chi mai fa caso ai cigni? Adesso manca solo l’ultimo quadro, il passo a tre con il mago Rothbart. È il finale con la versione tragica, quella in cui Odette si lancia dalla rupe e muore affogata nel lago. Dietro le quinte eccola lì, Lara, il Cigno Bianco, splendida, eterea, una nuvola di tulle e di piume. Mi guarda e si lascia scappare un sorriso perfido.

Quanto sarebbe diversa la mia esistenza se Lara non fosse mai nata?

Sul palco si è giunti alla fase finale del duello di Siegfried e del mago. Dovrei restare qui, dietro le quinte, ad aspettare con le altre ragazze di irrompere sulla scena dopo la morte di Odette, uno stormo di cigni che vola via nella desolazione del lago fatato. Strappo le piume storte dall’acconciatura e lascio cadere i capelli sulle spalle, spettinati, imperfetti, come me. Scappo. Corro attraverso i corridoi, accompagnata dai tonfi sordi delle mie scarpette. Imbocco le scale della torre scenica, salgo fino all’ultimo ballatoio sotto la graticcia, il mio posto speciale, fra i cavi d’acciaio, i contrappesi, le luci e le passerelle sospese nel vuoto, a trenta metri dalle assi del palco. Qui posso piangere. Sento il trucco colare, il mascara riga il cerone e le ciglia finte scivolano sulle guance. Il mio piede urta qualcosa, è la coroncina del Cigno Bianco che non si trovava più. La musica torna.

Mi re mi re mi si re do la

Non sento più il Čajkovskij apocalittico che s’innalza dalla buca dell’orchestra. È coperto dalla solita successione di note, mi re mi re mi si re do la. Non è reale, lo so, ma non smette, continua, continua, mi re mi re mi si re do la, mi re mi re mi si re do la, infinite volte, in un crescendo che mi devasta.

Raccolgo la coroncina di Lara, la poso sui capelli.

Sono sull’impalcatura che, nascosta dietro il fondale del palcoscenico, simula la cima della rupe dalla quale Lara si getterà nel lago. Odette sta per morire. Lara sta per morire.

Sento il legno dei gradini scricchiolare sotto le punte di raso e l’intera struttura ondeggiare a ogni mio movimento. I riflettori mi accecano e abbasso lo sguardo sulle onde di fumo azzurro che ricoprono il palco fluttuando sotto di me. È il momento di guardare il pubblico un’ultima volta prima di lanciarsi dalla rupe. Che cosa succederebbe se non centrassi il materasso preparato per attutire la caduta?

Mi lascio cadere, sollevo le braccia, cerco sul dorso della mano sinistra la macchia viola a forma di mezzaluna, la macchia di Lara.

Non c’è.

Mi re mi re mi si re do la

Mi re mi re mi si re do