La chiamata

Una pillola da bar di Roberta Raeli
 

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai a lavorar al bar.
Ché la diritta via, in realtà, era storta da tempo. O forse da sempre.
Nessun disorientamento, nessuna via smarrita dunque.
Scelte di vita, qualità, tempo, passioni.
Insomma, un casino.

Fu così che, tra i più disparati e divertenti colloqui affrontati, mi ritrovai, in un bollente martedì di qualche agosto fa, a elencare le mie skills alimentari, a rivangare il mio passato di hostess alle fiere vinicole, ad auto-lodare la mia predisposizione alla socialità. Scelte tattiche e creative. First reaction, shock! Dall’altra parte, una persona bisognosa di capitale umano, di risparmiare un po’ sulla paga oraria e di creare nuovi equilibri in un gruppo di lavoro un po’ logorato dal tempo – e dalla fatica, scoprirò in seguito.

Due più due. Et voilà. Il posto da barista fu mio.

Contratto a chiamata o voucher o vattelappesca per iniziare, ché non si sa mai, ché è una prova per entrambi, ché la manodopera costa cara, etc etc.
Alla fine, molto razionalmente, pensai che tutto sommato, per cominciare, poteva andare bene anche così, ed accettai.

Non posso dire che fu amore a prima vista. Fu, forse, un innamoramento, perlomeno al principio. Di quelli che incontri una persona che si mostra in tutta la sua meravigliosa luccicosità e man mano, con il tempo, si svela un po’ più tenebrosa di quel che sembrava.
Di quelli che ci credi tantissimo, e vedi tutto con gli occhiali dalle lenti arcobaleno. E niente. Che poi te li togli ed i colori sono una sorta di vanisè polverosa.

Ma carica a mille dall’entusiasmo, con le ali ai piedi e il cuore scoppiettante, parto con questa avventura nuova di zecca a imparare il mestiere.

Il primo giorno mi si palesano alcuni impedimenti oggettivi.
Il primo, neanche a dirlo, una certa stitichezza relazionale di qualche collega, un po’ contrariata della presenza di una quasi cinquantenne inesperta a cui dover insegnare per l’ennesima volta l’abc del buon barista. Che poi se si potesse comprare, questo mitico manuale, lo pagherei a peso d’oro. Io che chiedo scusa ogni due per tre, che non voglio mai disturbare nessuno, che per competitività sono un misto tra – attenzione: molto boomer – Mr Magoo e Heidi.

Insomma sì dai, mi spiaceva, davvero, che qualcuno dovesse perdere del prezioso tempo di lavoro per dover insegnare, a me, le modalità operative e gestionali.

Così fu. Amen.

Dal principio fu la luce. Ah no. Ho sbagliato incipit. Dal principio fu tanta tanta merda. Si può dire ? Si dai. È molto concreta e soprattutto naturale ed ecosostenibile. Imparare tante cose, interagire con millemila persone, correre per ore ed ore, ovunque, portando vassoi dai quali cadrà sempre qualcosa, ricordarsi il nome di clienti, brioches, biscottini e vini, fa sì che nel cervello di una quasi cinquantenne (con ipotiroidismo e fibromialgia, oltre al naturale decadimento neuronale, mannaggia) si scateni una sorta di corto circuito a catena che causerà ripetute défaillance, errori più o meno trascurabili, gaffes inenarrabili. Il tutto condito da una severa platea di habitué che, non conoscendoti, pensa tutto il male possibile.

Ma la pazienza è la virtù dei forti, la resilienza una parola di tendenza, l’antifragilità una caratteristica che mi appartiene.
Quindi muso duro e bareta fracà, come si suol dire nell’umido nord est.
Nessuna paura mai, motori accesi e acceleratore a mille, si corre.
La marzulliana domanda sorge spontanea. Dove corrono tutti ?
Dove andate tutti così di fretta ?

Ché durante la settimana c’è da timbrare il cartellino del lavoro, nel week end quello della vita. Per raggiungere traguardi che nemmeno conosciamo, per andare veloci senza mai fermarci, per essere di passaggio ancor più di quanto già non siamo.  

Davanti, o dietro, il bancone siamo tutte anime in rivolta, cercatori di sogni, sostenitori di nuovi orizzonti.
Siamo personaggi in cerca d’autore, uno nessuno centomila, tra un caffè e uno spritz. Tentiamo di portarci a casa un risultato quotidiano, la pagnotta e qualche piacere. Non siamo immuni alla frenesia, ma ci surfiamo per ritrovare il nostro centro di gravità permanente.

Davanti, o dietro, il bancone facciamo del nostro meglio. Che sia nell’ imparare a fare la schiuma per un cappuccino sopraffino oppure per realizzare i desideri archiviati nella memoria.

Cin, buono spritz a tutti, alla prossima comanda !